2013-12-29

L’analisi di Rosella Idéo sulla condanna a morte dello zio di Kim Jong Un, L'esecuzione del numero 2

Il manifesto, sabato 14 dicembre, p.8

Le ultime immagini di Jang Song Thaek, numero due del regime nordcoreano epurato per tradimento e condotta lasciva, lo mostrano in manette, a capo chino, sovrastato da due guardie davanti alla corte militare che lo ha condannato a morte. Sentenza eseguita immediatamente, ha sottolineato il comunicato dell'agenzia ufficiale KCNA diffuso ieri. Neanche essere parte della famiglia che da tre generazioni domina la Corea del Nord ha salvato lo zio del leader supremo Kim Jong Un. Un'estromissione avvenuta “in maniera pubblica, insolita e ignominiosa”, ha detto Rosella Ideo, esperta di relazioni internazionali dell'Asia Orientale, che contattata dal manifesto ha spiegato i contorni di un'epurazione  che mette Kim Jong Un sulla scia della politica seguita dal nonno Kim Il Sung e dal padre Kim Jong Il.

2013-12-11

Kim Jong Eun ha silurato il potente zio?



Superata la kremlinologia con l’ascesa di Gorbaciov, è più che mai valida la “kimilsun-logia” termine ricavato dal nome del fondatore e “presidente eterno” della Repubblica Popolare di Corea (RPDC). Voglio dire che di quello che avviene nelle segrete stanze del palazzo poco si sa. I servizi segreti sudcoreani (NIS, National Intelligence Service) ritengono che il potente zio di Kim Jong Eun, Jang Song Taek, sia stato spogliato di tutte le cariche che ricopriva dopo che due suoi più stretti collaboratori sono stati giustiziati pubblicamente per corruzione e altri fedelissimi messi sotto torchio.
La notizia è stata annunciata da un deputato del Partito Democratico all’Assemblea Nazionale (il Parlamento unicamerale della Repubblica sudcoreana). Dopo le esecuzioni che, secondo i NIS, sarebbero avvenute a metà novembre in data imprecisata, Jang sarebbe sparito dalla circolazione. 

2013-11-13

Attenzione alle fonti e ai luoghi comuni

Quando si tratta della Corea del nord (Repubblica Popolare Democratica di Corea, acronimo RPDC) per la nostra stampa il cliché è assicurato. Sintetizzo al massimo. La RPDC è un “regno eremita”, “irrazionale”, “imprevedibile”; i suoi leader sono “folli dittatori rossi” e sono dei “satrapi ridicoli”; vedi la pettinatura e i rialzi nelle scarpe del padre dell’attuale Kim Jong Eun, il defunto Kim Jong-il. Per non parlare del programma nucleare che mette a repentaglio l’esistenza stessa degli Stati Uniti costretti a piazzare uno scudo anti missile in Giappone per difendere la patria del capitalismo dall’isteria scomposta dall’élite dirigente di un paese di circa 24 milioni di abitanti che tirano la cinghia per sopravvivere. Insomma la RPDC rappresenta la summa del vizio e dell’abiezione.

La situazione, in realtà, è molto più complicata per i rapporti da guerra fredda entro e fuori la penisola coreana. Il guaio è che molti giornalisti attingono alle notizie che più si attagliano ai luoghi comuni (di cui sopra) senza non dico approfondire, ma perlomeno vagliare le fonti. Se l’argomento Corea del nord è poco interessante e facilmente liquidabile sarebbe meglio, forse, non parlarne affatto. E’ il caso della notizia riportata dallo JoongAng Daily e ripresa dal Corriere della Sera.

2013-11-11

ANALISI : Si riacutizza la guerra fredda nella penisola coreana: nel nome del padre


“Siamo ritornati al 1950”, mi dice Ko Un, il più grande e prolifico poeta della storia della letteratura coreana, che ha pagato con anni di carcere a sud del 38° parallelo il suo impegno contro le dittature del suo paese. Nemici come alla vigilia della disastrosa guerra di Corea, i nuovi leader della RPDC (Repubblica Popolare Democratica di Corea) e RdC (Repubblica di Corea), Kim Jong Eun e la signora Park Geun-hye si stanno esibendo in show di forza pericolosi.  
Entrambi sono figli d’arte, entrambi eredi di dittatori. 
Il trentenne Kim, al vertice della RPDC dalla morte del padre, Kim Jong Il, alla fine del 2011, è il terzo della dinastia che regna ininterrottamente sulla RPDC da 66 anni. 
Fin dall’inizio ha cercato di presentarsi, sia nell’aspetto sia nelle promesse (difesa ad oltranza contro l’imperialismo e benessere economico) come l’alter ego del nonno, l’amatissimo fondatore della dinastia, Kim Il-song. 
La sua politica mantiene la priorità perseguita dal padre: lo sviluppo del progetto nucleare per ovviare a una corsa agli armamenti convenzionali che non può permettersi dato il pessimo stato delle finanze del paese stretto da sessant’anni di sanzioni. 
La seconda priorità del giovane Kim è lo sviluppo economico (nonno docet) con l’aiuto degli investimenti della Cina che resta il suo unico alleato, soprattutto per motivi di sicurezza nazionale.  
La signora Park, membro del partito conservatore dal 1997, in carica dal febbraio 2013 è la figlia sessantenne di Park Chung-hee, il dittatore che costruì, con pugno di ferro, l’economia sudcoreana: con costi sociali elevatissimi. Alle spalle Park ha una storia tragica segnata dalla morte della madre in un attentato nordcoreano e dall’assassinio del padre per mano del capo dei sui servizi segreti. 
Il suo quinquennato comincia proprio male e conferma le preoccupazioni dell’opposizione il cui candidato, Moon Jae In, ha perso per uno stretto margine le presidenziali. A pochi mesi dall’insediamento del primo presidente donna, scoppia lo scandalo dei servizi segreti (National Intelligence Service, NIS). 
Il coinvolgimento dei NIS nella sua elezione nel dicembre 2012 (cui la presidente si è detta estranea) e il pretestuoso linciaggio morale, con relative dimissioni, del Pubblico Ministero che si stava occupando del caso, hanno fatto scendere in piazza non solo il partito di opposizione e le numerose associazioni civiche del paese, ma anche le comunità religiose: cattolici, protestanti e buddisti zen. Tutti sostengono che il sistema di controllo capillare sui cittadini, che si è evidenziato col bombardamento mirato di decine di migliaia di falsi messaggi via internet e twitter e fantasiosi dossier contro il candidato progressista e a favore di Park, sta facendo arretrare il paese di trent’anni: all’epoca del dittatore Park. Ultimo grave atto del governo che ha mobilitato l’intellighenzia del paese: la petizione alla Corte Costituzionale per lo scioglimento di un piccolo partito di sinistra, che ha sei membri in Parlamento, accusato di fomentare una rivoluzione sociale in linea con il programma del nemico nordcoreano. 
E’ improbabile che la prospera e ultratecnologica Rdc permetta ulteriori vulnus alla democrazia conquistata dopo tante lotte, ma il pericolo esiste. 
Del resto, come sostiene Ko Un, entrambi i paesi nati dalla guerra fredda e dalla divisione non voluta dal popolo coreano, continuano a trarre la loro legittimità dall’esistenza stessa del vicino-nemico. Lo spionaggio è di casa a Seoul, giustificato negli ultimi anni dall’arrivo di 27.000 profughi nordcoreani che, in maggioranza, sono in cerca di un futuro migliore; di sicuro ci saranno agenti nordcoreani infiltrati, dicono, e non c’è da dubitarne, ma i “rifugiati” (così li chiamano al sud) sono trattati con sospetto e hanno poche possibilità di mobilità sociale, a meno non siano personaggi eccellenti. La stessa logica anti comunista assicura la permanenza della famigerata Legge per la Sicurezza Nazionale, varata nel 1948, che permette l’arresto per intelligenza con il nemico anche in casi assai dubbi. La propaganda contro il regime dei Kim se pure più blanda rispetto a quella nordcoreana, è ben presente anche nella RdC. 
La parentesi di distensione fra le due Coree del decennio 1997-2007, voluta dai due presidenti progressisti della RdC, è ormai un “sogno lontano”, dice ancora Ko Un.
La signora Park, consolida la cesura, già iniziata dal suo predecessore (il conservatore Lee Myung-bak nel 2008), con la politica della mano tesa (sunshine policy). Le relazioni intercoreane si sono ulteriormente deteriorate.
La Corea del nord non è irrazionale e non è stata guidata da un dittatore più folle e imprevedibile dell’altro, come vuole certa stampa. I nordcoreani temono davvero un attacco nucleare preventivo da parte americana con l’appoggio logistico di Seoul e di Tokyo. E’ per questo che il giovane Kim ha alzato i toni retorici in occasione delle vituperate esercitazioni militari congiunte Usa/RpC. Gli americani hanno schierato una potenza militare impressionante con i B52 e persino B2, gli aerei invisibili, per simulare un attacco contro Pyongyang. 
Malgrado le precedenti sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu accumulate dal padre lo vietassero, il giovane Kim ha compiuto un test missilistico (fallito), e un test nucleare (riuscito) e ha ripreso la produzione di plutonio. In primavera la retorica del regime, particolarmente virulenta, è esplosa nell’esplicita minaccia di mettere a ferro e fuoco non solo Seoul, ma per la prima volta anche Washington.
La crisi è culminata con la chiusura dell’area industriale di Kaesong e l’espulsione dei colletti bianchi sudcoreani che gestiscono 150 piccole e medie imprese del sud e danno lavoro, dal 2001, a 52.000 operai nordcoreani. E’ una delle poche iniziative congiunte rimaste dall’epoca del disgelo.

Alla complessità dei rapporti intercoreani si aggiungono gli interessi divergenti delle grandi potenze che circondano la Corea e che traggono vantaggio dalla divisione del paese. 
Stati Uniti e Cina giocano una partita importante nella penisola. La Cina non ha mai nascosto che appoggia il mantenimento dello status quo e, fra le righe, sostiene il regime per il timore che scoppi una guerra a tutto vantaggio degli Stati Uniti. 
L’instabilità al suo confine la preoccupa di più del problema nucleare di Pyongyang. Ha sottoscritto le sanzioni contro la RPDC dopo i 2 test nucleari sotto il regime di Kim Jong Il e lo stesso ha fatto dopo il terzo test voluto dal figlio, Kim Jong Eun. La Banca di Cina, di proprietà dello stato, ha anche sospeso le transazioni con la Banca per il commercio internazionale di Pyongyang seguendo a ruota la decisione dell’amministrazione Obama.
Però ha adottato le contromisure per prepararsi a ogni evenienza. Le infrastrutture finanziate nella RPDC al confine fra i due paesi (autostrade, ponti, connessioni con i treni veloci) si possono interpretare come rapidi canali di ingresso in caso di sommosse, di implosione del regime e relativo intervento di Stati Uniti e Rdc.
Il commercio bilaterale con la RPDC continua ad aumentare e gli investimenti si moltiplicano. A Pyongyang, che è sempre stata la vetrina del regime, i nuovi palazzi e i centri commerciali, pieni di articoli di ogni tipo, soprattutto di lusso, sono in mano ai cinesi; i porti dell’est sono gestiti dai cinesi e frequentati dalle navi cinesi. In molte miniere i cinesi estraggono i metalli da importare in patria. L’importanza della Corea del nord nella politica estera del più grande e dinamico paese dell’Asia Orientale è testimoniata dal fatto che la formulazione della politica nordcoreana, considerata particolarmente complessa e sensibile nella politica internazionale di Pechino, è in mano all’Ufficio di Collegamento del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese e all’Esercito di Liberazione Nazionale. Mentre il Ministero degli Esteri svolge, in questo caso, funzioni soltanto esecutive. Un esempio: Wang Jarui, che è a capo dell’Ufficio di Collegamento del Partito, è stato a Pyongyang un numero di volte maggiore del suo omologo governativo, il ministro degli Esteri. Ottime e strette sono anche le relazioni fra i vertici delle Forze Armate dei due paesi. 
Questo spiega il dialogo mai interrotto con la RPDC e il rispetto dimostrato ai tre Kim dal top dell’establishment cinese. Sarebbe un errore pensare che l’adesione della Cina alle sanzioni ONU e alle sanzioni finanziarie americane dimostri una svolta nella politica nordcoreana di Pechino. 
Nulla di nuovo, sostiene il professore sudcoreano Jae Ho Chung: “si tratta di flessibilità tattica non di un nuovo orientamento strategico”.  Il governo della signora Park dovrebbe seriamente preoccuparsi non solo dei fratelli-nemici ma anche degli amici. 

2013-11-10

Corea: consigli agli editori

Sulla Corea, antico stato unitario fino alla fine della seconda guerra mondiale, e sulle due Coree nate in pieno clima di guerra fredda, si sa ancora così poco in Italia, che la lista delle traduzioni da proporre sarebbe lunga. I due stati, al nord e a sud del 38°parallelo, sono diventati due realtà culturali e socio-economiche così distanti da costituire due mondi separati e antitetici.
Consiglierei la traduzione di alcuni libri che trattano della Corea del nord (RPDC, acronimo per Repubblica Popolare Democratica di Corea) e, in particolare, della continua emergenza umanitaria a quindici anni dalla terribile carestia che ha mietuto decine di migliaia di vite. Ancora oggi nella RPDC si continua morire per denutrizione. Nel silenzio della comunità internazionale.

Va premesso che il problema nordcoreano e il difficile rapporto fra le due Coree sono un tema molto politicizzato sia nella Corea democratica, a sud del 38° parallelo, sia fra gli studiosi, per lo più sudcoreani e anglosassoni, che di Corea si occupano. Il dibattito si articola intorno a due posizioni contrastanti: i sostenitori del cambio di regime (regime change) da un lato e i fautori del cambiamento endogeno del regime (changing regime) nordcoreano. Chiusura totale e aumento delle sanzioni per strangolare la Corea del nord o dialogo e aiuti internazionali alla RPDC per indurla ad affrontare le necessarie riforme e inserirla nella comunità internazionale? Le complesse relazioni fra le due Coree e l’alternarsi di governi conservatori o democratici espressione delle suddette posizioni in Corea del sud, quarta economia dell’Asia e terzo creditore degli Stati Uniti, è complicato dagli interessi divergenti delle potenze regionali, a cominciare dalla Cina che privilegia la stabilità politica del piccolo stato confinante e dagli Stati Uniti che nella Corea del sud mantengono basi e 28.000 militari. 

2013-07-08

Corea del Nord e Corea del Sud a colloquio per riaprire il distretto industriale di Kaesong

Fonte: radio vaticana
Prove di dialogo su Kaesong

Segnali di riavvicinamento tra Corea del Nord e Corea del Sud. Sono infatti ripresi da qualche giorno i colloqui sulla riapertura del complesso industriale di Kaesong, dove fino a tre mesi fa imprese sudcoreane operavano in territorio nordcoreano. Ma qual è il significato di questo passo diplomatico? Michele Raviart lo ha chiesto a Rosella Ideo, esperta ed analista geopolitica dell’Asia orientale.RealAudioMP3 

R. – Kaesong ha rappresentato davvero, anche simbolicamente, questa cooperazione fra i due Paesi. E’ stato proprio il momento in cui uomini del sud e uomini del nord hanno in un certo senso collaborato, malgrado le ovvie restrizioni poste dal governo dei Kim.

D. – Quali sono le potenzialità di questa zona in chiave di riappacificazione?

R. – Kaesong doveva essere ancora migliorata in modo da creare i motivi di fiducia tra le due popolazioni. Naturalmente Kaesong è una zona industriale relativamente piccola, dove però c’erano oltre 120 piccole imprese sudcoreane, con duemila operai e circa 25 mila impiegati che lavoravano sia all’interno, sia con i subappalti, etc. Soprattutto, c’erano 53 mila operai nordcoreani. Tutto questo ha portato a circa 90 milioni di dollari di guadagni.

D. - Il regime nordcoreano alterna momenti di tensione a momenti di distensione. Qual è invece la posizione della Corea del Sud?

R. – C’è da considerare che nel governo della sig.ra Park, che è un governo conservatore, molti sono i falchi che vogliono continuare a mantenere un atteggiamento di durezza nei confronti del nord, a meno che non si privi dell’arma nucleare che tra l’altro è l’unico atout di cui dispone la Corea del nord. Quindi questi rapporti sono molto tesi ed è difficile a questo punto vedere di chi è la colpa. C’è una mancanza totale di fiducia tra i due governi.

D. – Abbiamo parlato di nucleare. Come viene visto il problema sia dalla Corea del sud sia, a questo punto, a livello internazionale?

R. - La questione nucleare è una questione che va vista nel contesto della geopolitica dell’Asia nordorientale e cioè degli interessi geopolitici delle grandi potenze, soprattutto degli Stati Uniti e della Cina. Gli Stati Uniti stanno tornando in Asia in forze. Stanno spostando tutte le forze militari in questo scacchiere e l’idea è di controllare in un certo senso la Cina. La Cina se ne rende perfettamente conto e non penso mollerà mai il regime dei Kim che la mette in imbarazzo molto spesso. La sfida sino-americana non permette a questa povera penisola di decidere da sola le sue sorti.



Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/07/08/corea_del_nord_e_corea_del_sud_a_colloquio_per_riaprire_il_distrett/it1-708140
del sito Radio Vaticana 



2013-04-02

Il leader della Corea del Nord ribadisce rafforzamento dell'impegno nucleare





La Corea del Nord annuncia il riavvio del reattore nucleare fermato nel 2007. Il leader kim Jung, nel discorso ieri alla nazione in occasione della riunione plenaria del Comitato centrale del Partito dei Lavoratori, ha affermato che gli armamenti nucleari costituiscono ''un deterrente'' rispetto alla guerra. Pyongyang da giorni minaccia Stati Uniti e Corea del Sud, impegnati in vaste manovre militari nell'ambito di operazioni annuali. Il servizio di Fausta Speranza RealAudioMP3 


Kim Jong-un promette di rafforzare l’impegno nucleare assicurando il lancio di altri satelliti. Con una popolazione allo stremo, parla di “necessità di accelerare lo sviluppo economico e punta il dito contro i 'nemici', a partire dagli Usa, che – sostiene - cercano di ''ostacolare il miglioramento economico'' della Corea del Nord. Da giorni la tensione è molto alta nell’area anche se effettivamente non si registrano “mobilitazioni su larga scala e riposizionamenti significativi di truppe nordcoreane”. Washington fa sapere che la Cina ha messo in stato d'allerta le sue truppe sul confine con la Corea del Nord. Pechino, alleata storica di Pyongyang ma sempre meno disposta ad assecondarne tutte le mosse, mantiene una forte presenza militare sul confine nel timore che uno sgretolamento del regime porti ad un massiccio afflusso di profughi sul suo territorio. Da parte sua la presidente della Corea del Sud, dopo lo ''stato di guerra'', annunciato sabato da Pyongyang, ha affermato che se c'è una provocazione contro la Corea del Sud e la sua gente, ci dovra' essere una risposta forte iniziale senza alcun tipo di considerazione politica''. 
In particolare sulla posizione della Cina, ascoltiamo,al microfono di Cecilia Seppia, la riflessione di Rosella Ideo, docente di Storia politica e diplomatica dell’Asia orientale all’Università di Trieste: 

R. - Direi che la Corea del Nord sta giocando una partita molto pericolosa. È chiaro che questo è dovuto alle ulteriori sanzioni che hanno colpito il Paese dopo il terzo test nucleare il 12 febbraio; da allora è partita questa escalation che veramente sta preoccupando tutti gli osservatori.

D. - La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato questo invio, da parte della Casa Bianca, di due bombardieri B2 che possono essere dotati sia di armi convenzionali sia nucleari. Quindi, in primo piano c’è la presa di posizione degli Stati Uniti, però ci sono altre potenze che entrano in gioco, come la Cina che non ha per niente un ruolo neutrale, come molti pensano invece…

R. - È vero! La Cina - tra l’altro - è quella che può risentire di più di una presenza militare americana aumentata nell’area. Ed è altrettanto vero che la Cina è l’unico “puntello”, da tutti i punti di vista, per la Corea del Sud perché gli fornisce energia, beni di consumo, infrastrutture, aiuti… La Cina, da un certo punto di vista, vuol vedere il gioco degli Stati Uniti, ma nello stesso tempo, si è sempre comportata calmierando le intemperanze sia degli Stati Uniti che della Corea del Nord. Però, in termini di potenza internazionale ha votato le sanzioni seguite al terzo test nucleare del 12 febbraio per dare l’immagine di essere una potenza responsabile.

D. - Nella Corea del Nord si sta formando una fazione che combatte il regime, e questa è la prima volta che succede. Che ruolo potrebbe aver questa “forza politica” in questo caso, ma anche più in generale in quello che è il regime di Pyongyang?

R. - È una possibile frangia interna, perché non possiamo parlare di una frangia politica. Teniamo ben presente che proprio in Corea del Nord esiste un regime di controllo talmente stretto, che la possibilità che si possa formare un’opposizione vera e propria che abbia la capacità di detronizzare questo terzo Kim, e quindi di cambiare le regole del gioco interno, è difficilissima. Bisognerebbe che le Forze armate coagulassero contro il regime di Kim Jong Un, cosa che non vedo possibile, anzi! Kim Jong Un sta dando queste prove 'muscolari', proprio per avere l’appoggio delle Forze armate. Ricordiamo anche che tutte queste reazioni di Kim, sono dovute al fatto che per la prima volta il 21 di marzo, l’Human Rights Council dell’Onu ha emanato una risoluzione per stabilire una Commissione di inchiesta che miri a valutare la sistematica violazione dei diritti umani che avviene in Corea del Nord. Effettivamente si ha una percezione atroce della situazione dei diritti umani nel Paese, con i campi di concentramento..ecc.

D. - Lei diceva “violazione dei diritti umani”, ma anche una situazione di povertà e di crisi molto evidente - che ovviamente riguarda la Corea del Nord - e che in qualche modo limita, allontana quel processo di riunificazione di cui si parla tanto…

R. - Io direi che in questi ultimi tempi, l’idea di una riunificazione appare assolutamente lontana. In questo momento sarebbe qualcosa di disastroso per la ricca e democratica Corea del Sud.


Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/04/02/il_leader_della_corea_del_nord_ribadisce_l%E2%80%99impegno_per_le_arm/it1-678838
del sito Radio Vaticana 

2013-02-12

Il gioco delle parti: minacce, provocazioni e sanzioni

Nella penisola coreana la tensione è all’apice. Minacce e provocazioni della Corea del nord seguono uno schema corroborato fin dalla firma dell’armistizio del 1953 che segnò la fine della guerra “calda” di Corea. Ma le sanzioni, comprese le ultime del Consiglio di Sicurezza dell’Onu a seguito del terzo test nucleare nordcoreano, non impediranno a Pyongyang di privarsi di quest’unico asso nella manica, che ha consentito a tre generazioni di Kim, nell’ultimo ventennio, di preservare il potere una volta finita la guerra fredda. Il nodo gordiano è rappresentato dallo scontro pluridecennale fra Washington e Pyongyang. Il piccolo paese vuole la firma della pace con gli Stati Uniti per rientrare nella comunità internazionale (con tutti i benefici economici connessi) e vuole il riconoscimento del suo nuovo status di paese nucleare. Nell’immediato, Kim Jong-eun mira al dialogo diretto con Washington. Pare che gli Stati Uniti stiano rivedendo la politica seguita dal 2008 ad oggi: una strategia di indifferenza corretta da un rincaro di sanzioni in risposta alle provocazioni del regime. Il “ritorno in Asia”, con lo spostamento di truppe e armamenti nella regione, inquieta la Cina ed esige un gesto di buona volontà. Il governo cinese, al contrario, ha continuato a puntellare Pyongyang con aiuti economici e investimenti: per non ritrovarsi, in caso di crollo di un regime, una Corea riunificata sotto l‘egida americana; ha perciò chiarito che le sanzioni non sono “la soluzione fondamentale”, ma che occorre tornare a un tavolo negoziale. Park Geun-hye (figlia del dittatore che guidò con pugno di ferro la modernizzazione del suo paese), appena insediatasi alla presidenza della Corea del sud costituisce un’altra incognita. In campagna elettorale la “regina di ghiaccio” del partito conservatore aveva promesso di essere disposta ad una politica più flessibile con il terzo Kim di quanto non sia stata quella intransigente del suo predecessore, Lee Myun Bak.  Adesso retorica bellicista e tensione sono alle stelle da ambo i lati del 38° parallelo, anche perché sono iniziate le manovre militari congiunte (dal 9 al 21 marzo) fra Corea del sud e Stati Uniti. Si temono incidenti più o meno cruenti con Seoul, come nel passato, anche se di solito non avvengono quando tutti se l’aspettano. E’ bene tuttavia non dimenticare, come ha sottolineato il quotidiano progressista sudcoreano Hankyoreh, che “l’emergenza nucleare è dovuta all’ansia di questo paese per la sua sicurezza”.

Pubblicato su Il Manifesto 12 febbraio 2013