“Siamo ritornati al 1950”, mi dice Ko Un, il più grande e prolifico poeta
della storia della letteratura coreana, che ha pagato con anni di carcere a sud
del 38° parallelo il suo impegno contro le dittature del suo paese. Nemici come
alla vigilia della disastrosa guerra di Corea, i nuovi leader della RPDC
(Repubblica Popolare Democratica di Corea) e RdC (Repubblica di Corea), Kim Jong Eun e la signora Park Geun-hye si stanno esibendo in
show di forza pericolosi.
Entrambi sono figli d’arte, entrambi eredi di
dittatori.
Il trentenne Kim, al vertice della RPDC dalla morte del padre, Kim Jong Il, alla fine del 2011, è il
terzo della dinastia che regna ininterrottamente sulla RPDC da 66 anni.
Fin
dall’inizio ha cercato di presentarsi, sia nell’aspetto sia nelle promesse
(difesa ad oltranza contro l’imperialismo e benessere economico) come l’alter
ego del nonno, l’amatissimo fondatore della dinastia, Kim Il-song.
La sua
politica mantiene la priorità perseguita dal padre: lo sviluppo del progetto
nucleare per ovviare a una corsa agli armamenti convenzionali che non può
permettersi dato il pessimo stato delle finanze del paese stretto da
sessant’anni di sanzioni.
La seconda priorità del giovane Kim è lo sviluppo
economico (nonno docet) con l’aiuto degli investimenti della Cina che resta il
suo unico alleato, soprattutto per motivi di sicurezza nazionale.
La signora Park, membro del partito
conservatore dal 1997, in carica dal febbraio 2013 è la figlia sessantenne di
Park Chung-hee, il dittatore che costruì, con pugno di ferro, l’economia
sudcoreana: con costi sociali elevatissimi. Alle spalle Park ha una
storia tragica segnata dalla morte della madre in un attentato nordcoreano e
dall’assassinio del padre per mano del capo dei sui servizi segreti.
Il suo
quinquennato comincia proprio male e conferma le preoccupazioni
dell’opposizione il cui candidato, Moon Jae In, ha perso per uno stretto
margine le presidenziali. A pochi mesi dall’insediamento del primo presidente
donna, scoppia lo scandalo dei servizi segreti (National Intelligence Service,
NIS).
Il coinvolgimento dei NIS nella sua elezione nel dicembre 2012 (cui la
presidente si è detta estranea) e il pretestuoso linciaggio morale, con
relative dimissioni, del Pubblico Ministero che si stava occupando del caso,
hanno fatto scendere in piazza non solo il partito di opposizione e le numerose
associazioni civiche del paese, ma anche le comunità religiose: cattolici,
protestanti e buddisti zen. Tutti sostengono che il sistema di controllo
capillare sui cittadini, che si è evidenziato col bombardamento mirato di
decine di migliaia di falsi messaggi via internet e twitter e fantasiosi
dossier contro il candidato progressista e a favore di Park, sta facendo
arretrare il paese di trent’anni: all’epoca del
dittatore Park. Ultimo grave atto del governo che ha mobilitato
l’intellighenzia del paese: la petizione alla Corte Costituzionale per lo
scioglimento di un piccolo partito di sinistra, che ha sei membri in Parlamento,
accusato di fomentare una rivoluzione sociale in linea con il programma del nemico
nordcoreano.
E’ improbabile che
la prospera e ultratecnologica Rdc permetta ulteriori vulnus alla democrazia
conquistata dopo tante lotte, ma il pericolo esiste.
Del resto, come sostiene Ko
Un, entrambi i paesi nati dalla guerra fredda e dalla divisione non voluta dal
popolo coreano, continuano a trarre la loro legittimità dall’esistenza stessa
del vicino-nemico. Lo spionaggio è di casa a Seoul, giustificato negli ultimi
anni dall’arrivo di 27.000 profughi nordcoreani che, in maggioranza, sono in
cerca di un futuro migliore; di sicuro ci saranno agenti nordcoreani
infiltrati, dicono, e non c’è da dubitarne, ma i “rifugiati” (così li chiamano
al sud) sono trattati con sospetto e hanno poche possibilità di mobilità
sociale, a meno non siano personaggi eccellenti. La stessa logica anti
comunista assicura la permanenza della famigerata Legge per la Sicurezza Nazionale, varata nel 1948, che permette
l’arresto per intelligenza con il nemico anche in casi assai dubbi. La
propaganda contro il regime dei Kim se pure più blanda rispetto a quella
nordcoreana, è ben presente anche nella RdC.
La parentesi di distensione fra le
due Coree del decennio 1997-2007, voluta dai due presidenti progressisti della RdC,
è ormai un “sogno lontano”, dice ancora Ko Un.
La signora Park, consolida la cesura, già iniziata dal
suo predecessore (il conservatore Lee
Myung-bak nel 2008), con la politica della mano tesa (sunshine policy). Le
relazioni intercoreane si sono ulteriormente deteriorate.
La Corea del nord non è irrazionale e non è stata
guidata da un dittatore più folle e imprevedibile dell’altro, come vuole certa
stampa. I nordcoreani temono davvero un attacco nucleare preventivo da parte
americana con l’appoggio logistico di Seoul e di Tokyo. E’ per questo che il
giovane Kim ha alzato i toni retorici in occasione delle vituperate
esercitazioni militari congiunte Usa/RpC. Gli americani hanno schierato una
potenza militare impressionante con i B52 e persino B2, gli aerei invisibili,
per simulare un attacco contro Pyongyang.
Malgrado le precedenti sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu
accumulate dal padre lo vietassero, il giovane Kim ha compiuto un test
missilistico (fallito), e un test nucleare (riuscito) e ha ripreso la
produzione di plutonio. In primavera la retorica del regime, particolarmente
virulenta, è esplosa nell’esplicita minaccia di mettere a ferro e fuoco non solo
Seoul, ma per la prima volta anche Washington.
La crisi è culminata con la chiusura dell’area
industriale di Kaesong e l’espulsione dei colletti bianchi sudcoreani che
gestiscono 150 piccole e medie imprese del sud e danno lavoro, dal 2001, a
52.000 operai nordcoreani. E’ una delle poche iniziative congiunte rimaste
dall’epoca del disgelo.
Alla complessità dei rapporti intercoreani si
aggiungono gli interessi divergenti
delle grandi potenze che circondano la Corea e che traggono vantaggio dalla
divisione del paese.
Stati Uniti e Cina giocano una partita importante nella
penisola. La Cina non ha mai nascosto che appoggia il mantenimento dello status
quo e, fra le righe, sostiene il regime per il timore che scoppi una guerra a
tutto vantaggio degli Stati Uniti.
L’instabilità al suo confine la preoccupa di
più del problema nucleare di Pyongyang. Ha sottoscritto le sanzioni contro la
RPDC dopo i 2 test nucleari sotto il regime di Kim Jong Il e lo stesso ha fatto
dopo il terzo test voluto dal figlio, Kim Jong Eun. La Banca di Cina, di
proprietà dello stato, ha anche sospeso le transazioni con la Banca per il
commercio internazionale di Pyongyang seguendo a ruota la decisione
dell’amministrazione Obama.
Però ha adottato le contromisure per prepararsi a
ogni evenienza. Le infrastrutture finanziate nella RPDC al confine fra i due
paesi (autostrade, ponti, connessioni con i treni veloci) si possono
interpretare come rapidi canali di ingresso in caso di sommosse, di implosione
del regime e relativo intervento di Stati Uniti e Rdc.
Il commercio bilaterale con la RPDC continua ad
aumentare e gli investimenti si moltiplicano. A Pyongyang, che è sempre stata
la vetrina del regime, i nuovi palazzi e i centri commerciali, pieni di
articoli di ogni tipo, soprattutto di lusso, sono in mano ai cinesi; i porti
dell’est sono gestiti dai cinesi e frequentati dalle navi cinesi. In molte
miniere i cinesi estraggono i metalli da importare in patria. L’importanza
della Corea del nord nella politica estera del più grande e dinamico paese
dell’Asia Orientale è testimoniata dal fatto che la formulazione della politica
nordcoreana, considerata particolarmente complessa e sensibile nella politica
internazionale di Pechino, è in mano all’Ufficio di Collegamento del Comitato
Centrale del Partito Comunista Cinese e all’Esercito di Liberazione Nazionale. Mentre
il Ministero degli Esteri svolge, in questo caso, funzioni soltanto esecutive.
Un esempio: Wang Jarui, che è a capo
dell’Ufficio di Collegamento del Partito, è stato a Pyongyang un numero di volte maggiore
del suo omologo governativo, il ministro degli Esteri. Ottime e strette sono
anche le relazioni fra i vertici delle Forze Armate dei due paesi.
Questo spiega il dialogo mai interrotto con la RPDC
e il rispetto dimostrato ai tre Kim dal top dell’establishment cinese. Sarebbe un errore pensare che l’adesione della Cina
alle sanzioni ONU e alle sanzioni finanziarie americane dimostri una svolta
nella politica nordcoreana di Pechino.
Nulla di nuovo, sostiene il professore
sudcoreano Jae Ho Chung: “si tratta di flessibilità tattica non di un nuovo
orientamento strategico”. Il governo della signora Park dovrebbe
seriamente preoccuparsi non solo dei fratelli-nemici ma anche degli amici.